Incontro del 21 marzo 2017 con la prof. Marina Maruzzi, insegnante al Liceo Tommaseo di Venezia

 

 

 


 

di Luciano Niero

 

Schopenhauer
il razionalissimo
filosofo dell’irrazionale

 

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788, e muore nel 1860.
Appartiene a una famiglia agiata ed avrà una formazione culturale irregolare non frequentando le scuole normalmente a causa dei continui viaggi della sua famiglia.
La madre è una donna frivola a cui piace la vita mondana e scrive romanzi sentimentali; la sua assenza frequente provoca in lui un certo fastidio per le donne, un misoginìsmo.
Il padre, commerciante, si suiciderà per un crollo finanziario quando il filosofo è ancora giovane.
Wilhelm Weilschedel nel libro La filosofia della scala di servizio lo descrive come un paranoico, nervoso che arriva persino, in un attacco d’ira, a spingere per le scale una serva procurandole una invalidità permanente, a causa della quale sarà costretto a pagarle un vitalizio.
Schopenhauer viene descritto come un misantropo arrabbiato col mondo, disprezza le “femmine” considerate non estetiche, civette, che non hanno sensibilità per la musica ed afferma, come scrive anche Aristotele, che esse sono “esseri inferiori” cioè una via di mezzo tra il bambino e l’uomo maschio.
Schopenhauer è una figura atipica del suo tempo, dal 1700 fino a lui la filosofia è trattata nelle università da accademici come Kant ed Hegel; egli, che ha una diversa preparazione, è in contrasto col mondo accademico universitario e con Hegel, le cui lezioni sono affollate mentre sembra che alle sue ci fossero solo quattro alunni.
La filosofia moderna termina con Hegel, il quale afferma che essa può far capire e conoscere tutta la realtà, in questo filosofo vi è l’apoteosi della ragione.
In quel tempo Auguste Comte pubblica in Francia il 1° vol. del Corso di filosofia positiva nel quale si esalta il metodo scientifico; i due filosofi portano al massimo l’idealismo e il positivismo della razionalità.
In quel periodo la società era orgogliosa delle numerose scoperte scientifiche come il gas, i nuovi mezzi di locomozione, fino all’illuminazione elettrica.
Ma nel 1848 e poi nel 1873 vi saranno in Europa due grandi crisi economiche dovute alla sovra produzione e ciò comporterà un atteggiamento diverso, una crisi di fiducia nel progresso.
Ed ecco allora che in Schopenhauer e anche in Leopardi avviene un disincantamento; ad esempio Leopardi nella Ginestra ironizza sulle sorti “progressive e magnifiche”.
Schopenhauer insegna che la “realtà” e il “mondo” sono una nostra “rappresentazione”: la realtà è filtrata ed è dipendente dalle nostre percezioni. Egli è il primo filosofo che porta il “corpo” all’interno della filosofia, inoltre afferma che non è la nostra volontà che governa il corpo, ma vi è una volontà dei “corpi”, che vi è una spinta per l’autoconservazione e che il nucleo della realtà è l’irrazionalità.
Le sue idee sono probabilmente influenzate dalla lettura, nel 1814, della traduzione delle Upanishad fatta nel 1801 da Anquetil.
Nel 1859 poi Darwin pubblica L’evoluzione della specie dove riconosce nell’animale uno “spirito di conservazione”.
Schopenhauer pubblica anche La metafisica dell’amore sessuale nella quale afferma che la ragione viene dopo la volontà del corpo (che Freud definirà “pulsioni”), volontà che provoca il meccanismo del “desiderio” che fa “volere” e ci fa oscillare di continuo tra dolore e noia, e ancora afferma che non è vero che tutto è razionale ma la ragione si ferma al “mondo”.
Schopenhauer e Leopardi non sono veramente pessimisti, non vogliono soccombere, vogliono essere “virili”. In Leopardi vediamo nella Ginestra una metafora della pianta che si “adatta” per ricrescere all’avanzare della lava vulcanica, così quindi non dobbiamo suicidarci ma capire che i nostri problemi sono anche i problemi di tutti.
Con Hegel gli avvenimenti, anche i più drammatici, hanno un senso razionale, una giustificazione. Per Nietzsche invece, che aveva letto Schopenhauer, la vita è “Kaos” baratro in greco, e i greci lo esprimono bene nelle loro “tragedie”. In Nietzsche vi è un nichilismo non passivo, la vita non ha senso ma il “senso” glielo do io, egli ci dice di “aderire alla vita” e quindi all’imprevisto.
Noi oggi, più che nel 1900, dobbiamo avere una posizione razionalista verso la “realtà”, comprenderne i limiti e saper accettare e convivere col “caso”.
I giovani d’oggi hanno il terrore dell’imprevisto, vogliono di continuo sapere, programmare, attraverso la “tecnologia”.
Un libro che la prof. consiglia ai suoi alunni è Limite di Remo Bodei ed. il Mulino, perché oggi manca il concetto di limite e ce ne dobbiamo riappropriare.
Oggi, con la nostra razionalità, abbiamo perso il senso di limite, per noi ogni cosa deve essere perfetta, pensiamo erroneamente che possiamo tutto; dobbiamo invece recuperare il senso del limite, coniugare razionalità ed irrazionalità, essere aperti al “caso” disponibili ad imparare.
Concludendo, Schopenhauer è riuscito a smantellare il castello della razionalità, che non vuol dire che niente ha valore, ma che dobbiamo recuperare il senso del vivere.